sabato 11 marzo 2017

L’Aurora di Ovidio e Shakespeare



L’Aurora di Ovidio e Shakespeare

 

 

Nell’Elegia XIII del Libro I degli Amores, Ovidio asserisce che l’Aurora è poco amata non solo dagli uomini perché li strappa dal sonno per farli ripiombare nella quotidianità, ma soprattutto alle coppie in quanto funge da elemento separatore. L’intera elegia è un’invettiva contro l’Aurora che Ovidio personifica come sposa di un marito vecchissimo e proprio per questo invidiosa delle gioie degli amanti.

La cattiveria dell’Aurora viene da Shakespeare portata al limite in quella scena di Romeo e Giulietta  che esordendo con il famoso “Wilt thou be gone?” (1), si articola in una rampogna nei confronti dell’Aurora del tutto affine alla suddetta elegia.

Qui l’avvento dell’Aurora avviene al culmine della tragicità: l’Aurora non separa gli amanti per riportarli all’abituale routine nell’attesa di un’altra notte, ma interrompe la prima notte di nozze e segna la fine del loro disperato amore.

Simbolo dell’Aurora è l’allodola, “messaggera del mattino”, i cui attributi negativi non mancano  di essere sottolineati dagli sfortunati amanti. Il suo canto incute terrore perché divide chi si ama, i suoi occhi sono quelli del rospo, e la sua voce è più sgradevole del gracidio, poiché suona la sveglia.

Dunque l’”invidiosa” Aurora di Ovidio è tale anche in Romeo e Giulietta e quegli uccelli che nel poeta latino sono annunciatori del duro risveglio si traducono in Shakespeare in un unico volatile: l’allodola, sgraziata compagna dell’Aurora.

E così la benvenuta messaggera del nuovo giorno della cultura tradizionale,  contrapposta al crepuscolo che invece incute pensieri e malinconie, in Ovidio e Shakespeare diventa  la malaugurata precorritrice di negatività e di morte.

 

 

(1) “Vuoi andar via?”

Riferimenti bibliografici

 

Ovidio, Amori, Zanichelli, Bologna, 1981

Shakespeare, Romeo and Juliet, Routledge, Londra 1988

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