L’Aurora di Ovidio e
Shakespeare
Nell’Elegia XIII del Libro I
degli Amores, Ovidio asserisce che
l’Aurora è poco amata non solo dagli uomini perché li strappa dal sonno per farli ripiombare nella quotidianità, ma
soprattutto alle coppie in quanto funge da elemento separatore. L’intera elegia
è un’invettiva contro l’Aurora che Ovidio personifica come sposa di un marito
vecchissimo e proprio per questo invidiosa delle gioie degli amanti.
La cattiveria dell’Aurora
viene da Shakespeare portata al limite in quella scena di Romeo e Giulietta che
esordendo con il famoso “Wilt thou be gone?” (1), si articola in una rampogna
nei confronti dell’Aurora del tutto affine alla suddetta elegia.
Qui l’avvento dell’Aurora
avviene al culmine della tragicità: l’Aurora non separa gli amanti per
riportarli all’abituale routine nell’attesa di un’altra notte, ma interrompe la
prima notte di nozze e segna la fine del loro disperato amore.
Simbolo dell’Aurora è
l’allodola, “messaggera del mattino”, i cui attributi negativi non mancano di essere sottolineati dagli sfortunati
amanti. Il suo canto incute terrore perché divide chi si ama, i suoi occhi sono
quelli del rospo, e la sua voce è più sgradevole del gracidio, poiché suona la
sveglia.
Dunque l’”invidiosa” Aurora
di Ovidio è tale anche in Romeo e Giulietta e quegli uccelli che nel poeta
latino sono annunciatori del duro risveglio si traducono in Shakespeare in un
unico volatile: l’allodola, sgraziata compagna dell’Aurora.
E così la benvenuta
messaggera del nuovo giorno della cultura tradizionale, contrapposta al crepuscolo che invece incute
pensieri e malinconie, in Ovidio e Shakespeare diventa la malaugurata precorritrice di negatività e
di morte.
(1) “Vuoi andar via?”
Riferimenti bibliografici
Ovidio, Amori,
Zanichelli, Bologna, 1981
Shakespeare,
Romeo and Juliet, Routledge, Londra
1988
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