sabato 11 marzo 2017

“Halloween” di Robert Burns

Nel poemetto propriamente intitolato “Halloween” (1785), Robert Burns racconta e celebra nel contempo l’apoteosi della superstizione celtica.
Questa lunga poesia che risulta ostica al lettore straniero per la straordinaria ricchezza di riferimenti folklorici, nonché per la lingua stessa del poeta nazionale scozzese, é un leit-motiv mentale del mondo britannico, parallelamente a quanto accade negli Stati Uniti per l’analogo poemetto “Il Corvo” di E.A. Poe che come il suo corrispondente celtico viene letto nella famosa notte delle streghe.
Ma l’importanza di “Halloween”, sta ben oltre la sua popolarità presso il mondo britannico e risiede piuttosto nel merito di avere esportato in Inghilterra i più comuni miti e leggende legati alla nota festività attraverso un’influenza letteraria e culturale che si rispecchia in usanze come quella dei falò, del travestimento (dei bambini in Scozia e degli adulti in Inghilterra) o di quella forma di divinazione attraverso rituali non verbali che consentirebbe alle ragazze di vedere il futuro marito.
Ed ancora nella poesia di Burns c’è molto più di tutto questo. Il bardo scozzese descrive la notte del 31 Ottobre in una dimensione del tutto nuova rispetto a quella della tradizione più antica che avrebbe voluto che la notte di Halloween fosse una intermezzo di paura tra la vita e la morte.
“Halloween” di contro ha poco di horror e molto di giocoso, burlesco, allegro, quasi ad esorcizzare ogni forma di paura.
La nostra triste festa dei morti, che secondo l’antico folklore celtico avrebbe dovuto essere quella di spiriti, demoni, streghe ed anime in pena, diventa dall’età vittoriana in poi (periodo di massima diffusione del poemetto) un carnevale. Una notte di risate, di scherzi, di feste e di allegre scorribande, lontano dal terrore. In una dimensione che appartiene solamente alla vita.

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