L’influenza di Boccaccio in Chaucer fa parte di quel genere
di suggerimenti letterari che si
rivelano diversamente da come erano stati inizialmente percepiti. Che la
cornice dei Racconti di Canterbury
sia il riflesso della cornice del
Decameron è elemento noto ed innegabile. La prima però, differentemente dall’altra, finisce con l’essere l’elemento portante del
libro per una serie di motivi che vanno oltre il fatto che si tratti di un’opera incompiuta.
Laddove infatti il Boccaccio aveva indistintamente scelto a
protagonisti dei giovani di buona famiglia, tralasciandone la personalità,
Chaucer invece sceglie con cura ogni personaggio traendolo da differenti classi
sociali.
Quelli di Chaucer, anche se appartenenti alla tradizione, come
la priora, il frate libertino, il medico venale o il parroco onesto sono
personaggi ben lungi dall’essere stereotipi, anzi sembrano quasi in carne ed
ossa, e il poeta li scruta con simpatia ed affetto, li analizza non focalizzando l’attenzione sulle maniere al modo del Boccaccio, ma tentando di
raccontarli dal punto vista psicologico attraversi descrizioni dettagliate.
Chaucer sembra a volte perfino innamorato dei suoi
personaggi, come accade con la Priora di cui ironicamente racconta particolari
che potrebbero metterla in cattiva luce soltanto al lettore più bacchettone.
Così di fronte a questa suora che si
impietosisce per i suoi cagnolini e che porta scritto sul bracciale “Amor
vincit Omnia” lasciando intendere un
tipo di amore tutt’altro che sacro, il lettore moderno sorride di simpatia e la
sente vicino a sé e ai suoi tempi.
Oltre la boccaccesca idea della raccolta di storie, molto di più di un affresco del Medio Evo, i
Racconti di Canterbury sono una galleria di esseri umani da annoverare a tutti
i tempi.
Riferimenti bibliografici:
G. Chaucer, The
Canterbury Tales tradotto (in inglese moderno) da B. Raffel, New York, 2008.
G. Boccaccio, Decameron,
Milano, 2008
P. Boitani, Chaucer and the Italian Trecento,
Cambridge, 1983
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